Benessere e bellezza, fra novità normative e nuove reti in franchising

Il mondo della salute sta cambiando. Nelle abitudini, nei luoghi, nei consumi. Tant’è vero che si stanno imponendo nuovi termini (“bellessere”, fra bello e benessere, digital health, eccetera), nuove location, nuove realtà ibride, nuovi attori. Nel 2015, ultimo dato completo pubblicato da uno studio dell’Università Bocconi di Milano, su 149 miliardi di risorse destinate alla sanità italiana, 34 derivavano dalla spesa privata. Il comparto socio-assistenziale raggiungeva i 50 miliardi. Nel corso degli anni, la domanda di cure private sta dilatandosi, ormai è pari a circa un terzo del totale, per il progressivo ripiegamento dell’offerta pubblica. Nel triennio 2013-2015, per esempio, la quota de privati è aumentata del 3,2 per cento, con più di 10 milioni di italiani che nel corso del tempo si sono rivolti a strutture non pubbliche. A questi dati aggiungiamo anche il fenomeno del progressivo invecchiamento della popolazione – nel 2050, ci saranno nel mondo due miliardi di anziani per una popolazione di quasi 10 miliardi e per l’Europa la percentuale è destinata a salire fino al 34 per cento – l’esplosione di altri canali distributivi come quelli della Grande distribuzione organizzata e l’accresciuta sensibilità dei cittadini verso i temi del benessere e avremo l’idea di un settore in profonda trasformazione.

Le farmacie

Le farmacie rappresentano forse il caso più evidente ed emblematico di questa trasformazione che sta interessando il comparto della salute. Nel momento in cui scriviamo il disegno di legge sulle liberalizzazioni si trova in discussione al Senato per quella che dovrebbe essere l’ultima tappa di un percorso lungo, troppo lungo, che dovrebbe aprire il mercato delle farmacie ai fondi privati. Ma cosa prevedere il testo della norma? Questi i punti principali:

  • Possibilità per le società di capitali di essere titolari di farmacie
  • Rimozione del limite di 4 licenze per un singolo soggetto, sostituito con l’introduzione del limite del 20 per cento delle farmacie esistenti nella stessa Regione o Provincia autonoma
  • Possibilità di fornire anche i farmaci ospedalieri (Fascia H)
  • Possibilità di ampliare gli orari e i turni di apertura.

È chiaro a tutti come queste disposizioni permetteranno ai grandi gruppi di venire a fare “shopping” in Italia in un mercato che fino a oggi è ingessato da troppi vincoli e divieti e per i farmacisti di poter ampliare lo spettro dei prodotti in vendita con l’aggiunta della fascia “H”.

La farmacia sta cambiando non solo dal punto di vista della legislatura, ma anche da quello delle sue funzionalità. Giacomo Bruno, associate consultant di S.A.V.E. – Studi Analisi Valutazioni Economiche di Milano, del dipartimento di Scienze del farmaco dell’Università degli Studi di Pavia, nota già da ora un aumento della competizione nel settore, con un conseguente abbassamento dei margini e uno spostarsi dalla sola commercializzazione dei prodotti all’erogazione di sempre più servizi. Secondo uno studio di IMS Health, multinazionale che supporta l’industria farmaceutica attraverso la fornitura di informazioni, analisi e servizi di consulenza, l’autocura e il commerciale stanno crescendo nel canale farmacia più del comparto etico (+7,3 per cento contro +1,4 per cento, anche se in termini assoluti l’etico fattura ancora di più, 2,6 miliardi di euro contro 1,7 miliardi).

Un affare digitale da 30 miliardi di dollari

Una ricerca promossa a fine 2015 dell’Università La Sapienza di Roma, Istituto Superiore di Sanità e Agenzia italiana del farmaco ha mostrato come internet per il 74 per cento degli italiani ha sostituito il medico quando si cerca una risposta ai sintomi di un malessere. Un fenomeno che sta attirando, e non poteva essere diversamente, i big della Rete. Oggi il mercato della salute digitale vale 15 miliardi di dollari, ma è destinato a raddoppiare entro il 2020. Google, per esempio, ha deciso di lanciare un servizio di ricerca proprietario dedicato alla spiegazione medica dei sintomi. Presto sarà disponibile anche fuori dagli Stati Uniti. Nel 2014, Apple ha rilasciato invece un’applicazione e una piattaforma denominata HealthKit, in modo da consentire agli sviluppatori di rendere le applicazioni per la salute parte integrante del sistema Apple. L’azienda guidata da Tim Cook ha già fatto un passo avanti verso la telemedicina con CareKit una piattaforma progettata specificamente per applicazioni medico-paziente, in modo che il dialogo possa diventare tecnologico e abbattere i costi. E propria questa strada digitale sembra essere il futuro dal momento che, secondo Idc Technologies services, la società che monitora il mercato delle nuove tecnologie, il 70 per cento delle Organizzazioni sanitarie mondiali intende investire su applicazioni mobile e wearable per raccogliere dati a distanza su malattie anche gravi. Secondo un’analisi di PricewaterhouseCoopers (PwC) esistono già 165mila applicazioni dedicate al benessere e alla salute, di cui solo il 5 per cento ha volumi significativi di utilizzo. Questo però non vuol dire che il trend non sia forte, tant’è vero che, sempre secondo Pwc, la domanda di medicina elettronica arriverà presto a 1,5 miliardi di App scaricate per un giro d’affari del mobile health che supererà quota 20 miliardi di euro. E che il futuro sia questo lo si legge anche nelle scelte di campo della politica: in America, l’amministrazione Obama ha concesso incentivi fiscali per 30 miliardi di dollari per digitalizzare i dati di milioni di pazienti; l’Ue, invece, ha lanciato la sua prima consultazione pubblica sulle App che si occupano della salute dei consumatori che si chiuderà il 15 settembre 2016 e vuole dare voce a sviluppatori e utilizzatori di applicazioni.

Startup forever

Il mercato delle startup legate al “digital heath”, secondo le stime degli analisti, può raggiungere i 230 miliardi di dollari di controvalore entro il 2020. Le app legate alla salute sono quelle con il più alto tasso di sviluppo e quelle che attirano maggiormente i giovani. Nielsen ha calcolato che potenzialmente metà dei giovani fino a 34 anni sono interessati a utilizzare queste applicazioni.

E se anche Amazon…

Amazon ha deciso di investire nel mercato multimiliardario (a livello globale) della vendita di farmaci. Nulla ancora di ufficiale. Tuttavia, il colosso statunitense sembra essere particolarmente deciso, tanto da aver assunto un nuovo manager al quale è stato affidato un team con il compito di formulare una strategia. Amazon ha già avviato di recente la vendita di strumentazioni e macchinari sanitari all’interno degli Stati Uniti e sta procedendo a nuove assunzioni al fine di irrobustire il proprio team dedicato ad un “professional health care program”. Un articolo riportato dal Japan Times nello scorso mese di aprile aveva d’altra parte indicato che l’azienda ha avviato l’estensione sul territorio nipponico del proprio servizio “Prime Now” anche a medicinali e cosmetici, avvalendosi del supporto di partner locali. Sul sito internet giapponese di Amazon, tali prodotti sono inclusi nella categoria “farmaceutici” e le vendite, sottolinea l’emittente americana CNBC, la prima a darne notizia, sono effettuate previa approvazione di un farmacista. D’altra parte, spesso il noto sito di commercio elettronico utilizza la strategia di testare un nuovo business in un singolo Paese, prima di generalizzarlo. Il settore farmaceutico, d’altra parte, fa gola: basti pensare che solamente negli Stati Uniti esso “vale” qualcosa come 4 miliardi di prescrizioni all’anno. Nel 2015, pazienti, compagnie d’assicurazione e altri soggetti hanno speso all’incirca 300 miliardi di dollari per i soli medicinali con obbligo di ricetta.